Il Teatro Sociale
Grazie alla ‘visione integrata’ del Centro Fluidamente tra le diverse teniche, metodologie utilizzate nei percorsi proposti vi sono quelle che ho sperimentato direttamente in vari contesti formativi e lavorativi: oltre allo ‘Psicodramma’ e al ‘Role Playing’ e alle discipline evidenziate ( Psicomotricità, Drammaterapia, Counseling Biosistemico), molte di queste provengono dal ‘Teatro Sociale’. Ho avuto modo in particolare di apprezzare, approfondire e ‘inglobare’ nella mia esperienza alcuni strumenti tratti dal ‘Playback Theatre’ e dal ‘Teatro dell’Oppresso’ (entrambi appartenenti alla grande ‘famiglia’ del Teatro Sociale).
Il Teatro Sociale è una tipologia di teatro in cui gli spettacoli mettono in scena temi di interesse sociale; esso si rivolge a gruppi sociali definiti, come persone in particolari situazioni di disagio. Esso si attua in un ambito sociale definito con un obbiettivo sociale/educativo: attivare la crescita del singolo, del gruppo e della loro relazione con il contesto in cui sono immersi ( ambiente, relazioni, famiglia, lavoro, ecc.). Contrariamente dunque a un modo di fare teatro che sviluppa contenuti fantasiosi o immaginari, il Teatro Sociale sollecita ad approfondire e interpretare da diverse angolazioni determinati temi/problemi realmente esistenti.
Spesso rivolto a territori/situazioni socialmente difficili si pone come scopo principale l’integrazione e l’interazione dei soggetti partecipanti alle attività; l’obbiettivo è sociale/educativo e prevede una serie di cambiamenti nella vita reale e quotidiana delle persone coinvolte; per questo è molto spesso utilizzato in ambito formativo.
Lo spettacolo/performance/evento finale nel Teatro Sociale si realizza grazie alla partecipazione dell’utenza o ‘parti’ di essa e non di attori protagonisti (minori in difficoltà, detenuti, disabili, persone che vivono situazioni di disadattamento di varia natura, stranieri, tossicodipendenti, ecc.). Lo spettacolo, quando presente, non si pone come finalità principale ma solo come ‘parte’ del percorso stesso: è il laboratorio teatrale, infatti, a rappresentare l’esperienza fondamentale del processo; esso viene solitamente realizzato in luoghi non ‘teatrali’ quanto piuttosto nei luoghi in cui gli utenti vivono il loro disagio (case di cura, centri di recupero, case famiglia, centri di accoglienza per stranieri, carceri, comunità…).
Il Teatro Sociale a volte comporta l’interazione improvvisata con il pubblico: in alcune situazioni si tratta del coinvolgimento delle persone che hanno seguito l’intero percorso laboratoriale mentre in altre occasioni sono coinvolti anche gli spettatori ‘esterni’ al laboratorio; ciò avviene ad esempio a inizio e fine spettacolo o nel coinvolgimento per la predisposizione/ creazione dello stesso.
Come il teatro civile lo scopo è avvicinare il teatro al pubblico, sensibilizzare ed educare intorno a tematiche di interesse collettivo, comunitario, cercando di abbattere la ‘quarta parete’, quella immaginaria che spesso separa il palcoscenico dalla vita quotidiana.
Anche Il teatro civile e di narrazione rientra in questa categoria ma questi prevedano una performance finale rappresentata da attori professionisti e svolta spesso in luoghi teatrali; e il temine ‘sociale’ è riferito essenzialmente ai contenuti, volti a portare alla ribalta una storia o una tematica di attualità o di tipo storico-sociale.
Il Playback Theatre
Il Playback Theatre nasce a metà degli anni 70’ grazie a J.Fox, psicodrammatista statunitense che, insieme a J. Salas ha sviluppato in particolare il ‘teatro della spontaneità’ dello Psicodramma moreniano. L’intento è quello di promuovere e valorizzare le comunità portando in scena le storie individuali dei suoi componenti, rendendone visibili aspirazioni e difficoltà. Il Playback Theatre è una particolare forma di improvvisazione teatrale finalizzata a dar voce alle emozioni, vicende e narrazioni di un gruppo sociale mettendole in scena in tempo reale.
Il conduttore del gruppo di attori invita qualcuno tra il pubblico a narrare una storia o un momento della propria vita inerente al ‘tema’ centrale dell’incontro: alla fine questi sceglie gli attori per rappresentare i differenti ruoli della sua vicenda e osservare la propria storia ricreata e restituita all’istante con forma e coerenza artistica. Le rappresentazioni utilizzano essenzialmente i canali non verbali in accordo anche con il musicista del gruppo.
Lo spazio scenico è estremamente essenziale, utilizza pochi accorgimenti scenografici proprio per lasciare il posto alla creatività dei corpi e alle coreografie improvvisate. L’azione scenica è volta a dare voce e dignità al racconto delle storie consentendo alle persone di vedere sulla scena i personaggi del proprio mondo: l’impatto è spesso carico dal punto di vista emotivo ma non ha una valenza terapeutica quanto sociale.
Il Playback Theatre si presta a essere utilizzato in diversi ambiti e risulta efficace sia con un vasto pubblico sia all’interno di piccoli gruppi. Per la sua particolare capacità di creare un senso di comunità/appartenenza attivando i processi empatici e il confronto costituisce un valido strumento sia in ambito educativo che formativo (in azienda, per operatori nel campo psico- sociale, sanitario, scolastico …). Possono essere messi in scena punti di vista, esperienze, valori, storie di vita personale e professionale, timori, desideri: ciò permette di vedere da diverse angolazioni una stessa situazione sviluppando i processi di decentramento affettivo e cognitivo.
Gli attori mettono in scena i vissuti del pubblico a partire anche dalle emozioni e stati d’animo presenti in sala; man mano – grazie anche a un semplice processo imitativo – il pubblico si ‘scalda’ e la platea si trasforma in una comunità narrante e partecipante. Attraverso la verbalizzazione di emozioni e il racconto delle storie le persone hanno modo di rispecchiarsi, riconoscersi, individuarsi o differenziarsi.
Anche in percorsi di ‘crescita personale’ alcune specifiche tecniche ( quali “tableaux”, “statue fluide”, “macchine ritmiche” e “solisti riverberati”…) sono particolarmente adatte a creare un senso di appartenenza al gruppo o a rafforzarlo. La loro relativa semplicità e immediatezza fa sì che le persone possano dare un loro rimando e prendere parte attiva alle scene/rappresentazioni senza timore del giudizio.
Esse si prestano nei momenti di ‘fondazione’ del gruppo, in cui le persone non si conoscono o hanno un livello di conoscenza molto formale e/o episodica. Grazie al loro carattere ludico creano, infatti, un clima di comunanza e simpatia reciproca che facilita l’esplorazione successiva. Il possibile disagio iniziale viene gradualmente sostituito da un clima di disponibilità, solidarietà e fiducia: diventa possibile ritrovarsi nelle storie degli altri, identificarsi nelle emozioni raccontate e messe in scena per trovare il coraggio anche di esporsi in prima persona. Si tratta di un’esperienza che spesso si connota come liberatoria e che facilita lo sviluppo della condivisione e compartecipazione.
L’aspetto ludico delle tecniche all’interno di un gruppo consente di creare un ambiente piacevole, sufficientemente ‘leggero’, sdrammatizzante per far emergere caratteristiche personali (nuove, inaspettate, latenti o nascoste); la loro condivisione è garantita da un rapporto di reciproco rispetto e non di giudizio: la partecipazione emotiva e/o concreta alle vicende degli altri infatti facilita la curiosità e l’ interesse vicendevole.
Il Playback Theatre costituisce dunque uno strumento molto adatto anche per facilitare lo sviluppo della spontaneità e dell’espressività. Può costituire anche un valido ausilio nel momento in cui si presentino difficoltà nel verbalizzare alcuni sentimenti o esperienze: poiché in ogni caso viene restituito valore al vissuto dei partecipanti ( espresso anche solo con una parola ) aumenta il livello di autostima e di partecipazione dei soggetti coinvolti. Alcuni sentimenti contraddittori, ambivalenti, le cui componenti emotive faticano a trovare espressione, possono essere ben rappresentate ad esempio attraverso la tecnica del “doppio” (che trae la sua origine dallo Psicodramma).
Le metodologie del Playback sono particolarmente utili dunque nei momenti di apertura e chiusura di eventi, performance o percorsi collettivi (corsi, convegni, meeting…): in principio per ‘rompere il ghiaccio’, attivando, scaldando e coinvolgendo la platea e/o per avviare processi di socializzazione tra i membri di un gruppo; a conclusione di un percorso per restituire una sintesi di quanto vissuto insieme in termini emotivi e/o di riflessione finale; a volte come ‘intermezzo’ per fare il punto della situazione e ‘testare’ il livello di coinvolgimento e/o interiorizzazione di contenuti e procedere nel lavoro intrapreso. Data la forma stilistica essenziale, spoglia, delle tecniche è molto utile, infatti, anche nel momento in cui si intendono condensare concetti e/o stati d’animo prevalenti emersi in seguito ad attività proposte e ad esperienze vissute insieme.
Gli strumenti del Payback Theatre risultano efficaci non solo in funzione della ‘fondazione’ del gruppo ma anche con funzione propedeutica rispetto ai temi da affrontare successivamente (ad esempio in contesti formativi).
Il Teatro dell’Oppresso
Il Teatro dell’Oppresso nasce in Brasile ad opera di A. Boal negli anni 60’. Esso utilizza il linguaggio teatrale come strumento per meglio comprendere e trasformare la realtà, sia essa sociale in senso stretto che interiore, e per facilitare il rapporto tra queste due dimensioni. E’ una forma di teatro che attiva anche il pubblico: attraverso la messa in scena si cerca di renderlo più partecipe a possibili cambiamenti nella vita reale, nel contesto in cui è immerso. Vengono esplorate varie alternative e possibilità facendo emergere domande e punti di vista che aiutino a trovare soluzioni collettive a problemi reali.
Benché le dinamiche che via via scaturiscono dall’azione possano coinvolgere i partecipanti dal punto di vista emotivo lo scopo non è di tipo terapeutico: si prefigge di sviluppare la coscienza critica dei partecipanti grazie a un processo ‘liberatorio’e di ‘coscientizzazione’ .
Le tecniche del Teatro dell’Oppresso sono molto indicate per simulare situazioni conflittuali e problematiche in cui si desiderino introdurre modifiche, variazioni o cambiamenti. Ad esempio mediante il “teatro forum” ognuno è sollecitato a ideare e proporre trasformazioni a situazioni proposte: tali suggerimenti sono seguiti dalla loro realizzazione pratica che modifica la rappresentazione precedente per verificarne l’efficacia e la fattibilità; e il processo continua nella considerazione dei diversi punti di vista e delle strategie possibili.
Attraverso i giochi di “decondizionamento” del Teatro dell’Oppresso, è possibile attivare i processi di socializzazione tra i membri del gruppo senza entrare subito nella profondità dei temi da affrontare.
Si possono anche realizzare situazioni interattive in coppia e/o piccolo gruppo in cui vengono rappresentate parti contrapposte e uno spettatore debba poi inserirsi nel contesto per modificare la situazione: egli può anche prendere il posto di uno degli attori protagonisti dando uno sviluppo differente e costruttivo alla vicenda.
Questo approccio risulta molto efficace ad esempio nel focalizzare l’attenzione su alcune dinamiche all’interno di contesti organizzativi/lavorativi; sulla mediazione dei conflitti e i processi di negoziazione; nell’evidenziare gli svariati stili comunicativi e relazionali con cui si possono affrontare le medesime situazioni; nel far emergere le diverse strategie di ‘problem solving’: ciò allarga il ventaglio di alternative e modelli a disposizione favorendo i processi di decentramento, il pensiero divergente e le capacità decisionali. Sollecita i soggetti ad assumere un atteggiamento attivo e di critica costruttiva.